Venerdì 14 gennaio 21.30
The Song of Names
Regia di François Girard. Un film con Clive Owen, Tim Roth, Catherine McCormack, Jonah Hauer-King, Eddie Izzard, Saul Rubinek. Genere drammatico - Canada, Ungheria, 2019, durata 115 minuti. Sottotitolato in italiano.
Ricordare i Nomi delle vittime
Martin Simmonds, 35 anni dopo la sparizione improvvisa dell'amico David Rapoport, violinista geniale sin dall'infanzia, lo cerca ovunque per fargli pagare le conseguenze di quella scomparsa che aveva portato alla morte del padre di Martin ma anche per scoprire il mistero di quanto accaduto alla famiglia di David deportata a Treblinka.
"Il Signore formò dal suolo ogni genere di animale selvatico e ogni uccello dei cieli, che condusse quindi all’uomo per vedere che nome gli avrebbe assegnato… L’uomo diede dei nomi a tutto il bestiame, agli uccelli del cieli e a tutte le bestie del campo”. (Bereshit 2, 19-20). Nella tradizione ebraica l'assegnare il nome ha una fondamentale importanza. Nel Midràsh leggiamo che, dopo che l'uomo ha dato un nome a tutti gli esseri viventi Dio gli chiede di dare un nome a se stesso.
Il senso del titolo di questo film, tratto da un romanzo di Norman Lebrecht, nasce proprio dal bisogno (lo spettatore scoprirà in quale contesto) di fare memoria dei nomi di chi non c'è più con una variante altrettanto fondamentale nella cultura ebraica: la musica.
La musica nel film è suonata su uno strumento che ha segnato in maniera indelebile il tragico percorso del popolo ebraico, in particolare nel '900: il violino. Perché David è stato fin da piccolo un raffinato esecutore anche troppo consapevole della propria abilità ma proprio una sua mancata presenza, un'assenza di suono, ha segnato la fine di un rapporto, inizialmente contrastato ma poi divenuto solidale, con il quasi coetaneo Martin la cui famiglia aveva accolto e assistito il piccolo ebreo polacco. (mymovies)
Venerdì 21 gennaio 21.30
Quo vadis, Aida?
Regia di Jasmila Zbanic. Un film con Jasna Ðjuricic, Izudin Bajrovic, Boris Ler, Dino Bajrovi, Boris Isakovic. - Bosnia-Herzegovina, Austria, Romania, Paesi Bassi, Germania, Polonia, Francia, Norvegia, 2020, durata 103 minuti. Sottotitolato in italiano.
Tramandare e accettare la tragedia pur di poter ripartire.
Luglio 1995. Aida, bosniaca, insegna inglese e lavora come interprete in una base ONU nei giorni caldi che precedono l’occupazione di Srebrenica da parte dell’esercito serbo. Ma il sistema di protezione internazionale, gestito dalle gerarchie militari olandesi, si rivela sempre più fragile e inadeguato di fronte all’avanzata delle truppe di Mladic. La situazione dei rifugiati si fa sempre più drammatica e Aida si trova stretta tra due fuochi, in un disperato tentativo di salvare la propria famiglia e i propri concittadini da un grave pericolo.
Tre atti canonici, molti primi piani frontali e un découpage classico: a Jasmila Zbanic non serve altro per realizzare un film che deriva dall’urgenza di tramandare più che dalla volontà di inseguire chimere stilistiche.
Prendendo spunto dalla vicenda realmente accaduta al traduttore Hasan Nuhanovic, Zbanic costruisce su un onnipresente personaggio femminile un dramma incalzante, che attraversa la tragedia e la ricostruzione storica con la medesima attitudine e con il medesimo sguardo. Quello di Aida – su cui Zbanic incolla la macchina da presa – che con la sua fermezza e lucidità di madre e di insegnante, di moglie e di guida, sembra non smarrire mai il controllo in una situazione apparentemente ingestibile.
Durante le scene corali, che Zbanic ricostruisce con abbondanza di comparse per rappresentare la moltitudine di rifugiati dentro e fuori il perimetro dell’ONU, Aida prova a guidare psicologicamente e fisicamente masse inermi. Quasi una novella Mosé, che prova a scongiurare fino all’ultimo la tragedia. La fede di Aida è però malriposta in un’istituzione mondiale che a Srebrenica mostra tutta la sua inconsistenza e il suo senso di isolamento, indotto dal disinteresse dei giochi di potere internazionali.
Quo vadis, Aida? rappresenta dall’interno una situazione dall’escalation imprevedibile. Un fatto che sovente accade nei teatri di guerra, ma che qui porta con sé l’ulteriore complicazione di un “cuscinetto” di caschi blu, diga inutile di fronte allo tsunami della pulizia etnica.
(mymovies)
Venerdì 28 gennaio 21.30
Risttuules
(In the crosswind)
Regia di Martti Helde. Un film con Einar Hillep, Ingrid Isotamm, Laura Peterson, Mirt Preegel, Tarmo Song. Genere Drammatico - Estonia, 2014, durata 90 minuti. Sottotitolato in italiano.
Sopravvivere a tutti i costi
Tratto dai diari della protagonista Erna, In the Crosswind di Martti Helde parte come un dramma qualunque. Erna racconta la sua vita idilliaca in Estonia, e parla dei tempi vissuti col marito e la figlia in un montaggio della loro vita insieme, come una famiglia felice. Ma quando la donna diventa una delle 40.000 persone deportate in Siberia – parte del piano di Stalin di pulizia etnica del paese – la sua vita cambia. E così il film.
Erna e la sua famiglia sono deportati dalla loro casa, e il film diventa una serie di tableaux. Le figure non si muovono più, ma in sostanza si congelano nel tempo, e la macchina da presa ondeggia fuori e dentro le statue. Separate dal marito e padre, Erna e sua figlia si ritrovano in Siberia. La donna scrive sul diario le sue traversie e la speranza di rivedere un giorno il marito, e una serie di tableaux composti con delicatezza racconta la brutalità e l’oppressione sofferte da Erna. Tornerà nella natia Estonia e rivedrà il suo amore?
Helde ha un occhio da pittore, ed è da apprezzare la fredda fotografia in bianco e nero, combinata con il movimento ben controllato sugli attori in posa e gli ambienti. Va menzionato anche il brillante sound design, che aiuta a mantenere lo slancio anche quando le immagini sono del tutto ferme. Il film non si affida alle sole meraviglie tecniche, ma è un rispettoso e affettuoso racconto degli orrori causati dai sovietici. Con un’estetica che rinforza l’idea di vite ‘congelate nel tempo’, il film non punta sugli effetti né sulle forzature, e non si trattiene troppo a lungo.
(di Laurence Boyce, cineuropa)
Venerdì 4 febbraio 21.30
Nebel im August
Regia di Kai Wessel. Un film con Ivo Pietzcker, Sebastian Koch, Thomas Schubert, Fritzi Haberlandt, Henriette Confurius. Genere Drammatico, - Germania, 2016, durata 126 minuti. Sottotitolato in italiano.
Ciò che l’essere umano può essere.
Germania, primi anni '40. Ernst Lossa è un tredicenne tedesco jenisch, orfano di madre e con un padre venditore ambulante senza fissa dimora. A piazzare Ernst al centro del mirino, nella Germania nazista, è soprattutto la sua indole "asociale e ribelle", che fa sì che il ragazzo sia rimbalzato da un istituto all'altro, approdando infine all'ospedale psichiatrico di Kaufbeuren. Il direttore dell'ospedale è un medico dall'apparenza gentile, e invece convinto seguace delle teorie eugenetiche sostenute dal Fuhrer. Ernst si troverà a proteggere i piccoli ospiti disabili dell'istituto, considerati dal direttore e dai suoi infermieri inutili ostacoli nel programma di liberazione della Germania dall'invalidità fisica e mentale.
Nebbia in agosto è un thriller di grande tensione narrativa, tenuta alta dal regista tedesco Kai Wessel per tutta la durata della storia. Una storia che ha come colonna sonora il rumore lontano delle bombe e come eroe un irriducibile: in questo senso ricorda quella di Qualcuno volò sul nido del cuculo o anche quella di Il giornalino di Gian Burrasca (vedi la rivolta alimentare), perché racconta come le personalità più indisciplinate e riottose diventino necessarie all'interno di quelle istituzioni che per garantirsi il controllo reprimono qualunque forma di dissenso, con ogni mezzo "necessario".
(mymovies)