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FEBBRAIO

FEBBRAIO - cinemAnemico

IMMAGINARIO 


IMMAGINATO


RASSEGNA DI CINEMA EST EUROPEO

 Venerdì 8 febbraio

Koktebel

(Russo, subtitle italiano) 

Un film di  Boris Khlebnikov e Aleksey Popogrebskiy, con  Gleb Puskepalis, Igor Chernevich e Yevgeni Syty

Drammatico, durata 100 min. - Russia, 2003

Un padre e un figlio, soli e senza niente, attraversano la Russia in un lungo viaggio alla volta di Koktebel, in Crimea.

Protagonisti inizialmente misteriosi allo spettatore, per il loro ignoto passato e il loro incerto presente, con il dispiegarsi della trama riveleranno mano a mano i tasselli della loro vita, lasciando intuire il perché della loro condizione e i motivi del loro viaggio.

Un viaggio che è intrapreso in condizioni disagevoli e disagiate, attanagliati da ristrettezze economiche e di mezzi, e percorso con ogni mezzo di fortuna: a piedi o clandestini su un treno merci, elemosinando un passaggio o un aiuto. Ma un viaggio che si rivelerà anche, e soprattutto, una ricerca e una speranza. La ricerca di un traguardo che sia - prima che un punto di arrivo - il punto di partenza per una nuova vita; e la speranza di (ri)trovare quelle condizioni di stabilità e serenità - di spirito oltreché materiali - andate perdute.

Se tali speranze siano concrete piuttosto che miraggi o chimere, lo scopriremo, forse, insieme ai protagonisti.

 

Un film delicato e profondo, incomprensibilmente ignorato dalla distribuzione italiana, troppo intenta a rassicurare il mercato con superficiali blockbuster hollywoodiani.

(http://www.asianworld.it/)

 

Venerdì 15 febbraio

Ovsyanki

(Silent souls)

(Russo, subtitle italiano)

Un film di  Aleksei Fedorchenko. Con  Yuliya Aug, Olga Dobrina, Larisa Domaskina

Drammatico, durata 78 min. – Russia, 2010.

Miron affronta con l'amico Aist un viaggio per dare l'estremo addio alla defunta moglie Tanya secondo il rito della cultura dei Merya, un'antica tribù proveniente dal Lago Nero, in Russia. I due uomini intraprendono un lungo cammino attraverso quelle terre sconfinate insieme a due uccellini in gabbia. Lungo la strada Miron condivide con l'amico alcune confidenze coniugali, e scopre di non essere stato il solo ad amare Tanya.

Dedicato a chi desidera assaporare una storia d'amore dolorosa e lancinante e a tutti quelli che amano il cinema russo in tutto il suo feroce e fulgido realismo.

Fedorchenko scrive e dirige in maniera impeccabile un racconto struggente e silenzioso intriso di poesia, di mistero e di passione, la storia di un distacco difficile ma inevitabile, quello dai propri cari, dalle tradizioni, da un mondo rurale che è destinato a finire, perchè quello che deve succedere alla fine succede e l'uomo, nella sua insignificante piccolezza, poco può fare per opporsi.

(http://www.movieplayer.it)

 

Venerdì 22 febbraio

Woyzeck

(Ungherese - subtitle italiano)

Un film di János Szász. Con  Lajos Kovács, Diana Vacaru, Éva Igó.

Drammatico, durata 93 min. – Ungheria, 1994

János Szász riesuma l'atroce dramma di Georg Büchner ambientandolo nell'Ungheria di oggi eppure mantenendone le caratteristiche di cupa astrazione: il disturbato protagonista è guardiano dello scambio n.360 e abita l'annessa baracca, l'inquieta Maria subisce il richiamo dei sensi durante una festa di dropout che stanno tra lo tzigano e il semplice ubriacone, il Tamburmaggiore fa il poliziotto; ma ogni elemento del paesaggio sembra sprofondato in una dimensione atemporale, sospeso nelle nebbie esistenziali dell'avvolgente bianco e nero di Tibor Máthé. La scena ferroviaria moltiplica le simmetrie (e vengono in mente i paralleli più incongrui, dai ""carri merci carri merci carri merci"" di ginsberghiana memoria alle ""fredde parallele della vita "" di un altro non dimenticato Poeta), cosicché l'opening up, pur legato a scelte narrative tutt'altro che pretestuose, autorizzate come sono oltretutto dalla dinamicità assai poco ""teatrale"" del testo di partenza, finisce per ribadirne l'atmosfera claustrofobica, quasi il ""fuori"" non fosse che un incubo di Woyzeck, una sorta di proiezione del suo io diviso. Risulta perciò arduo, almeno per chi è ancora costretto a guardare da lontano nonostante le reiterate frequentazioni, stabilire un rapporto tra l'universalità delle angosce büchneriane e il contingente dello homo hungaricus alle prese con gli imbarazzi del guado. Anche giudicato solo come rilettura di un classico, comunque, il film appare un notevole saggio di regia, omogeneo e coerente anche quando si prende delle libertà (a noi è sembrata discutibile solo la scelta di far entrare Woyzeck nella stanza in cui Maria è a letto col Tamburmaggiore: non ce n'era proprio bisogno, visto che la follia del personaggio si costruisce per accumulo di sospetti ed allusioni). Molto suggestiva la colonna sonora, che esclude quasi programmaticamente l'impiego di un fin troppo ovvio Berg, spaziando da Purcell a Pergolesi, con l'inclusione ""extracolta"" del Ternipe Group. Gli attori sono tutti bravi, con una menzione d'obbligo per il protagonista, Lajos Kovács, che abbina physique du rôle e allucinazioni espressioniste padroneggiate con sapienza, letteralmente ridicolizzando la buonanima di Klaus Kinski. Il nostro Woyzeck in pectore, per maschera tragica e antinaturalistica dismisura di una impressionante resa in chiave epica, rimane comunque Carlo Colnaghi, almeno per quegli indimenticabili frammenti che ci ha fatto intravvedere in Tempo di riposo di Daniele Segre.

Paolo Vecchi

 

 

Al celeberrimo testo di Georg Büchner si è rifatto il regista János Szász per il suo film. Ne esce una versione quasi astratta dell'opera della quale vengono accentuati i lati metafisici. Woyzeck si situa così in una atemporalità resa evidente dall'ambientazione contemporanea, e dalle scarnificate, astratte scenografie dello scalo ferroviario. Se, allora, i fasci dei binari appena percettibili sotto la crosta di neve che li ricopre rimandano alla fascicolazione del sistema nervoso ""malato"" di Woyzeck, il film si pone sotto il duplice segno di una modernità in atto e dell'alienazione (oggetto di tutta una sociologia dell'automazione) di lì a venire. Woyzeck è oggetto di un esperimento scientifico e contemporaneamente soggetto ""biblico"" dell'ineluttabile: tramite stritolato tra la rivolta dei sensi e un'impossibile riconciliazione. Va dato atto a Szász di aver realizzato un film (per quanto scevro da impennate linguistiche veramente innovative) carico di grande suggestione: lo aiutano sicuramente l'impeccabile fotografia di Tibor Máthé (che ricorda un po' Perdizione di Béla Tarr) e soprattutto l'ottima recitazione dei suoi attori, in primis, naturalmente, il Woyzeck di Lajos Kovács di rara asciuttezza e adesione, e la musica che da Purcell a Pergolesi tratteggia sapientemente i momenti sospesi della narrazione calando l'opera in un'aura di tragica magia.

Andrea Frambrosi

(http://www.lab80.it) 

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